L’Azienda Agricola Valle del Rosa è proprietaria di aree nel territorio del Comune di Bannio Anzino, lungo il Torrente Olocchia e in Loc. Battiggio (Campaccio) del Comune di Vanzone con San Carlo (VB).
Su queste aree, da oltre tre anni , si è iniziato a sviluppare un allevamento suini di razza nera piemontese (considerati estinti), allo stato semibrado, cercando di valorizzare la conservazione della diversità genetica animale e la tutela di valori culturali e storici.
Infatti, le razze locali, oltre a rappresentare un prezioso serbatoio di variabilità genetica, svolgono anche un ruolo ecologico, sociale e culturale rilevante in quanto contribuiscono alla salvaguardia del territorio, delle comunità rurali e delle loro tradizioni legate alle produzioni.
L’area ubicata in Comune di Vanzone con San Carlo , in Loc. Battiggio, anche se comunemente la zona è denominata Campaccio, è situata lungo un versante mediamente acclive in cui sono stati realizzati, presumibilmente nel XIX secolo, dei terrazzamenti in pietrame per consentire le coltivazioni di cereali ed orticole. Tali pratiche sono state poi abbandonate dopo la seconda guerra mondiale a causa della scarsa produttività dei terreni, ed in concomitanza degli interventi di industrializzazione del fondo valle e dell’Ossola che garantivano maggiori opportunità.
L’area era originariamente destinata all’allevamento di ovini e caprini. A seguito dell’alluvione dell’agosto 1978 e dei profondi mutamenti subiti dalla zona con l’esondazione del Torrente Olocchia, le attività agricole sono state abbandonate, e tutta l’area versava in profondo stato di degrado sebbene fossero state ricostruite le opere di difesa spondale.
In tale contesto, oltre l’abbandono delle attività agricole, è risultato anche gravemente danneggiato e compromesso tutto il comparto relativo al settore zootecnico della valle Anzasca.
La movimentazione internazionale delle risorse genetiche animali è iniziata alla fine del XIX secolo con il trasferimento dei riproduttori nel mondo a seguito della nascita (in Europa) delle associazioni di razza e dall’invenzione delle navi a vapore.
La maggior parte di questi scambi è avvenuta entro l’Europa e tra le potenze coloniali e le loro colonie. In questo modo le razze europee si sono diffuse nelle zone temperate dell’emisfero sud e nelle aree asciutte tropicali ma non nelle aree umide tropicali per la modesta tolleranza al caldo, alla scarsa qualità dei foraggi ed ai parassiti caratteristica di queste razze. Si possono pertanto trarre le seguenti conclusioni:
i diversi paesi e regioni sono stati a lungo interdipendenti nell’uso delle risorse genetiche animali;
la scala degli scambi e la velocità di trasformazione delle popolazioni animali è cresciuta enormemente negli ultimi decenni a solo favore delle razze più produttive; i trasferimenti di materiale genetico riducono la base della risorsa genetica su cui si fonda la produzione animale a livello mondiale. Ne consegue che, sia a livello nazionale che, a livello internazionale, ci sia la necessita di valutare l’entità dei processi affinché possano essere assunte azioni di uso sostenibile delle risorse genetiche ed, eventualmente provvedimenti di salvaguardia delle risorse minacciate, ai fini della loro conservazione. Il Piemonte non fa eccezione all’andamento generale. Alcune razze sono geneticamente estinte, altre minacciate di estinzione ed altre ancora hanno una limitatissima diffusione.
Per ridurre il rischio d’inquinamento da nitrati e preservare la struttura del suolo occorre limitare la permanenza degli animali sullo stesso terreno e creare un buon cotico erboso, che influisce positivamente anche sul benessere degli animali. Gli allevamenti suinicoli “industriali” si caratterizzano per l’elevata concentrazione di capi in limitate superfici stabulative coperte e per il carico di bestiame molto elevato in rapporto alla superficie agricola utile. Una tale organizzazione degli allevamenti ha originato gravi problemi di impatto ambientale legati principalmente ai rischi di inquinamento idrico connessi allo smaltimento di elevati volumi di liquami suinicoli. Il superamento di tali problemi passa anche attraverso l’adozione di tecniche di stabulazione più rispettose dell’ambiente tra cui l’allevamento su lettiera e l’allevamento all’aperto. Per quest’ultima tecnica risulta strategica l’analisi e la verifica sperimentale della sostenibilità ambientale, in particolare per le aree marginali del nostro territorio per le quali tale tecnica non è utilizzata. L’allevamento all’aperto, infatti, non comporta alcuna produzione di liquami ma richiede, comunque, il rispetto di un rapporto equilibrato tra la superficie agricola aziendale e peso vivo allevato. A tale proposito le conoscenze scientifiche sono tuttora limitate e i risultati dei pochi studi condotti di recente in ambito internazionale sono riferiti alla produzione di suino pesante. In materia d’impatto ambientale la tecnica d’allevamento dei suini all’aperto non è contemplata dalla normativa nazionale che disciplina soltanto lo spandimento sul suolo dei liquami provenienti da insediamenti zootecnici senza prevedere norme specifiche relative al rilascio in continuo, per tutto l’arco dell’anno o del ciclo produttivo, delle deiezioni da parte dei suini stessi. L’allevamento all’aperto comporta la necessità di prevedere un rapporto equilibrato tra superficie agricola aziendale e peso vivo allevato. I principali limiti a questa forma di allevamento sono rappresentati dai fattori pedo-climatici. Il terreno non deve essere eccessivamente pesante ma, al contrario, deve essere strutturato in modo tale da permettere un efficace allontanamento delle acque meteoriche evitando i ristagni idrici; ciò al fine di garantire agli animali condizioni di benessere accettabili dal punto di vista igrotermico e di consentire in ogni stagione dell’anno la percorribilità delle vie di transito.
Per limitare i rischi d’inquinamento da nitrati e garantire il mantenimento della struttura del suolo, è necessario che i suini permangano sullo stesso terreno per un periodo non superiore a due anni nei settori di riproduzione e di svezzamento ed a un anno o alla durata di un unico ciclo (per esempio, da 25-30 kg a 130-150 kg) nei settori di accrescimento e ingrasso. La limitata permanenza dei suini sullo stesso terreno ha anche la funzione igienico-sanitaria di contenere la diffusione delle parassitosi. In ogni caso la presenza di cotico erboso nei recinti d’allevamento riduce i rischi di lisciviazione e d’infiltrazione dei nitrati nel terreno; inoltre la copertura vegetale del terreno influisce positivamente sul benessere degli animali e, in particolare, sulle prestazioni riproduttive delle scrofe.
La vita in allevamento è del tutto simile a ciò che avverrebbe in natura, c’è un ricovero rappresentato da un riparo coperto o stabulare aperto, perché gli animali sono liberi di entrare e uscire e all’esterno ed hanno a disposizione un ampio territorio tra prato e bosco. L’inseminazione è naturale e non assistita, le scrofe partoriscono in autonomia all’aperto (assistite solo in caso di necessità), riparandosi e nascondendo per i primi giorni di vita i piccoli negli arbusti e/o capannine. Gli animali vivono e si nutrono all’esterno, mangiano tutto quello che trovano tra pascolo e bosco disponibile. Sul terreno, in base alla stagionalità vengono coltivati anche zucche, zucchine, fagioli e patate, che sono seminati ma non raccolti, ed a raccoglierne i frutti ci pensano i suini che mangiano anche le radici, evitando così il formarsi di muffe nel terreno. In tale situazione (allevamenti brado o semibrado), vengono utilizzati fioccati a base di mais come alimento di cortesia, sempre disponibile, ed utile per farli avvicinare al richiamo e abituarli alla presenza degli esseri umani, anche se di razza molto socievole. I fioccati ed i mangimi utilizzati in azienda sono esclusivamente di tipo biologico NO OGM certificato.
Data la loro vita semi brada anche il sapore della carne cambia a seconda delle stagioni e si hanno quindi carni e prodotti con aromi differenti in base alla dieta naturale dei suini: carni meno saporite nel periodo estivo e più intense del periodo invernale. In questo tipo di allevamento non vengono eseguiti trattamenti a base di antibiotici, non si esegue il taglio della coda. I suini maschi vengono generalmente castrati da piccolissimi (entro i 7 giorni di vita) per evitare un odore spiacevole che le carni assumerebbero in età riproduttiva. I suini vengono macellati a 14 – 16 mesi e sono animali più leggeri (massimo 120 – 140 Kg. per capo), hanno un fegato molto piccolo, proprio come risultato della loro vita all’aperto e dell’alimentazione semi-brada. I verri e le scrofe più belli, riportanti le caratteristiche morfologiche, fisiologiche e funzionali dei soggetti originari, vengono selezionati ed utilizzati per ottenere un miglioramento della specie. Successive selezioni dovrebbero condurre l’azienda ad ottenere animali riconducibili alla specie originaria. Con tale tecnica di allevamento, uno dei maggiori problemi in tema di diversità genetica – è quello della consanguineità (inbreeding), che può verificarsi anche in popolazioni numericamente consistenti quando pochi soggetti di pregio vengono utilizzati come riproduttori. Lo stato di rischio non permette di stimare il livello di Isolamento genetico tra le sottopopolazioni di una stessa razza. In tale contesto è previsto lo scambio di riproduttori con altri allevatori che utilizzino tecniche analoghe.